Raccolte fondi online: l'era del Crowdfunding.

Crowdfunding: forse la parola non vi dice granché, ma magari avete donato una piccola cifra online per sostenere il lancio di un prodotto di design o l’allestimento di una tournée teatrale e, in cambio, avete ricevuto un gadget o un biglietto per la prima. In tal caso, fate parte anche voi della folla (in inglese, crowd) di italiani che hanno contribuito a una causa o a un progetto per il gusto di fare del bene o, perché no, per ricavarci qualcosa. Il crowdfunding è un fenomeno in crescita. Nel 2017, nel mondo, sono state fatte oltre 5 milioni di raccolte fondi online, nel 2019 arriveremo a 9. In Italia, secondo Starteed, l’anno scorso il crowdfunding ha permesso di raccogliere oltre 112 milioni di euro. Come funziona? Ci sono siti internet dedicati che permettono di presentare il proprio progetto in vetrine virtuali e gestiscono le transazioni dei donatori, trattenendo piccole percentuali. Chiunque può contribuire: in cambio, riceverà una ricompensa. A volte simbolica, a volte no.

In Italia nel 2005 è nata una delle prime piattaforme di crowdfunding del mondo, Produzioni dal Basso (PdB). «All’epoca la parola crowdfunding non esisteva neanche», spiega il fondatore Angelo Rindone, «noi avevamo intuito che il web e l’atteggiamento degli utenti nei suoi confronti stavano cambiando. Tanti dicevano che non avrebbe funzionato». Invece oggi il fenomeno continua a crescere: perché? «Il crowdfunding in sé non è cambiato, è cambiata la realtà che lo circonda. Le aziende, ad esempio, oggi sentono l’esigenza di comunicare dei valori e il crowdfunding le aiuta a farlo, co-finanziando progetti di responsabilità sociale. I social e la diffusione dei pagamenti digitali hanno fatto la loro parte. Ma in Italia resta ancora molto da fare. La parola crowdfunding, in un Paese poco anglofono come il nostro, è ostica: molte persone non saprebbero dire cos’è, anche se magari hanno partecipato a qualche campagna. Secondo me i numeri del crowdfunding italiano sono bassi anche perché da noi c’è una certa ingenuità progettuale: abbiamo ottime idee, ma non sempre sappiamo venderle».

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